I due autori, Giancarlo Beltrame e Gabriele Rodriquez, partono da un assunto semplice come l’uovo di Colombo: si può fare arte con tutto. Pure con uno strumento qual è un telefonino, che sta nelle mani di tutti e che tutti usano quotidianamente nei modi più svariati. Compreso, dal 2009, fotografare.
In questo decennio lo sviluppo tecnologico, attraverso quelle che sono chiamate app, ha poi permesso e permette a chiunque lo volesse di elaborare ogni immagine secondo caratteristiche predeterminate da precisi algoritmi. Chi si ferma a questo livello, che lo faccia al momento dello scatto oppure successivamente, consegna il risultato finale alle “mani invisibili” dei calcoli matematici della macchina, una specie di “inconscio tecnologico” (per riprendere la fortunata definizione coniata da Franco Vaccari fin dagli anni Sessanta).
Ma c’è anche chi ha deciso di andare oltre e di esplorare le infinite possibilità che lo strumento consente nella rielaborazione e nella manipolazione delle immagini. Le proprie e quelle che si possono pescare nello streaming continuo in cui, grazie al web, siamo immersi. E’ la Mobile Art. L’arte creata con lo smartphone o con il tablet. E “mobiografia”, parola macedonia che unisce i due termini “mobile” (inteso come telefono portatile) e “fotografia”, è l’immagine artistica che si ottiene.
Non più fotografia, non più grafica, nemmeno nella versione computerizzata, ma qualcosa di nuovo, che si può ottenere solamente con quegli specifici strumenti teconologici, così come una volta servivano tele, pigmenti e pennelli per dipingere o certe combinazioni di malta e colori per affrescare.
Quelli di Rodriquez e Beltrame sono in gran parte collage digitali. La tecnica del collage è stata usata dall’inizio del Novecento da molte delle avanguardie che si sono succedute nel secolo breve, dal Futurismo al Dadaismo, dal Surrealismo alla Pop Art, dal Décollage alla Neoavanguardia legata al Gruppo ’63. La nuova frontiera è appunto la sua versione digitale, che si basa sull’utilizzo pienamente consapevole della intertestualità.
Se è vero che ormai tutte le storie sono già state scritte e che l’autore contemporaneo consciamente o inconsciamente ne replica parti, richiami o citazioni tra le righe e gli interstizi dei propri testi, è altrettanto vero che tutte le immagini sono già state dipinte, disegnate o scolpite. All’artista, allora, non resta che confrontarsi con esse – grazie al flusso continuo che Internet consente -, assimilarle, interiorizzarle e farle dialogare con i propri sogni e le proprie ossessioni, sino a riproporle come propria espressione.
Seguendo percorsi diversi ed autonomi, Beltrame e Rodriquez sono giunti a incontrarsi, scoprendo una profonda affinità non solo nella tecnica usata, ma anche nelle tematiche. Di qui il dialogo che fa tappa qui con questa mostra, giustamente e quasi fatalmente inserita in una cornice architettonica e artistica in cui l’arte e la cultura del passato sono state imprescindibili punti di riferimento per chi l’ha realizzata.
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